Ieri pomeriggio ho assistito alle conferenze organizzate nell’ambito del Premio Möbius 2022, dedicato al multimediale e più in generale alla cultura digitale.
Sono stati affrontati tre temi, tra loro intersecati, nelle tre conferenze: fake news, metaverso e discorsi d’odio. Di seguito qualche appunto disordinato e le mie riflessioni.
La sfida globale delle fake news
- Gino Roncaglia, professore universitario. Introduzione e moderazione;
- Gilles Marchand, direttore SSR. Il servizio pubblico di fronte alle fake news;
- Annamaria Testa, pubblicitaria. Guadagnare con i dati e le fake news;
- Nicla Borioli Pozzolini, professoressa SUPSI. È ancora possibile ritrovare un’etica della verità?
Si è parlato di economia dell’attenzione. Testa sottolinea che l’attenzione è una risorsa scarsa che le aziende cercano di conquistare tenendoci sui social. Il problema è che se mettiamo tanta attenzione nei social, dobbiamo toglierla da altre attività, compreso lo stare con gli amici o la famiglia, con la lettura o la produzione creativa amatoriale.
Testa ha perfettamente ragione: i social sono lì, sempre accessibili e sempre popolati, perché qualcuno lo trovo a qualsiasi ora. E io ho paura di mancare, di perdermi qualcosa che succede. Un tempo non era così: il tempo con gli amici era circoscritto ai momenti in cui gli amici li vedevo, ora non più, ora devo esserci sempre per contribuire a costruire la mia identità sociale. Bisognerebbe imporre degli orari dove si può accedere e orari dove non si può. Forzare i ragazzi a fare altro.
Si è parlato anche di formazione e di quanto sia importante nel combattere le fake news. Insieme a algoritmi e regolamentazione, ma la formazione è la base.
Bene, da insegnante mi fa piacere. Ma in concreto, cosa vuol dire?
La scuola dovrebbe insegnare qualcosa di particolare? Credo di no: la scuola ha già come scopo quello di formare cittadini responsabili, consapevoli e informati. Quindi gli insegnamenti tradizionali vanno decisamente in questa direzione.
Le dimensioni del digitale sono relativamente nuove e non vengono trascurate dal mondo della scuola. Le riforme imminenti del settore liceale e di quello professionale introducono competenze trasversali legate alla digitalità e competenze specifiche legate alla digitalizzazione. Quindi forse il modo migliore per armare i giovani contro le fake news è permettere alla scuola di fare la scuola, dandole le risorse necessarie per riflettere, per innovare e per implementare l’innovazione.
Metaversi, una rivoluzione?
- Luca De Biase, giornalista. Introduzione e moderazione;
- Gabriele Balbi, professore associato USI, Il metaverso è la prossima rivoluzione?
- Derrick de Kerckhove, sociologo e psicotecnologo. La metacity è più appassionante del metaverso;
- Gualtiero Carraro, imprenditore. Che cos’è il metaverso. Lo stato dell’arte dei metaversi
Io credo che gli imprenditori, anche quelli più lungimiranti, spesso non la vedano giusta. Il successo è sovente dovuto al caso (vedi Google, vedi Zuckerberg). Non solo, chiaro, poi lo devi saper sfruttare. Comunque: è stata mostrata un’immagine, la copertina di una rivista importante che, nel 1995, ritraeva Bill Gates parlava di internet. Mi è sembrato in realtà un urlo disperato di uno che non aveva minimamente considerato la rete e pensava di poter produrre tutta roba proprietaria. Credo che l’unica ragione per cui la Microsoft sia sopravvissuta è grazie al fatto che aveva regalato il software ai pirati. Poi le cose sono cambiate, ma ha rischiato grosso.
Un altro esempio: la pandemia. Alcuni imprenditori e osservatori vedono l’esperienza della pandemia come uno sdoganamento dell’uso delle tecnologie digitali. Ma bisogna considerare che tante persone non ne possono più, c’è stato un sovraccarico e dobbiamo considerarlo.
Per quanto siano stati dati diversi spunti interessanti, mi sembra che molte riflessioni sul metaverso siano stagnanti. Sarà perché ho letto Neuromante nei primi anni Novanta, quando ho iniziato a frequentare la rete, in gruppi di discussione sulla rete stessa e sulla fantascienza. Lì c’era già quasi tutto. C’era già il metaverso. Era molto limitato, non grafico, ma esisteva. I forum, i gruppi di discussione, le mailing list che esistono da decenni non sono una realtà virtuale? Mi presento con un avatar molto elementare, ristretto a poche righe di presentazione e ai testi che dico, che definiscono il mio essere. Puro essere, senza apparenza (come l’anima).
Oggi ho possibilità più sofisticate, ma il punto è presentarsi in un modo diverso da come sono, mettendo in evidenza alcune parti e altre no (come faccio nei cv e in generale con tutte le maschere che indosso in società), o addirittura mentendo.
Quindi non ha senso replicare la realtà perché non è ciò che si vuole. In rete si vuole decidere come apparire, spesso cambiando a seconda del contesto.
I discorsi d’odio
- Stefano Vassere, direttore SBT. Destini e derive della comunicazione digitale, moderazione;
- Luca De Biase, giornalista. Ecologia dell’odio: il rapporto di Reimagine Europa per la Commissione antidiscriminazioni del Senato della Repubblica Italiana;
- Lorenza Ambrisi, linguista e docente liceale. La lingua dell’odio;
- Claudia Bianchi, professoressa universitaria. Il lato oscuro del linguaggio;
- Bertil Cottier, professore emerito USI. Iniziative di lotta ai discorsi d’odio: dall’Europa alla Svizzera.
Grande risalto all’anonimato in rete. Abolirlo per prevenire i discorsi d’odio grazie alla punizione dei colpevoli? Però, fa notare Ambrisi, l’hater è orgoglioso di esserlo, si presenta con nome e cognome. Piuttosto, suggerisce, bisogna far capire ai ragazzi che le parole feriscono. Io credo che i ragazzi lo sappiano, ma fanno fatica a evitarlo, si trovano invischiati in dinamiche, purtroppo legittimate dagli adulti, e fanno come vedono fare.
Mi è sembrato di capire che per Cottier sarebbe utile proibire l’anonimato, però è anti-costituzionale in molte nazioni. Bianchi ha replicato dicendo che non servirebbe a niente, come ha detto Ambrisi, aggiungendo che molta gente non si rende conto o non gli importa di non essere anonima.
Io aggiungerei che l’anonimato è necessario per potersi esprimere liberamente su temi delicati, come le posizioni politiche, questioni etiche, l’orientamento sessuale. Forum di persone affette da disturbi patologici funzionano perché si può parlare in forma anonima. Funzionano meglio che di persona.
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